Quando la mente ci inganna: i pregiudizi

Siamo a Milano per un viaggio di lavoro. Si dice che i milanesi siano tutte persone fredde, schive, scontrose.  Conosciamo il nostro nuovo collega del posto e, forti di questa credenza, iniziamo ad assumere un atteggiamento controllato e difensivo, con l’intento di difenderci dal carattere “risaputo” dei milanesi. Questo nostro atteggiamento sarà visto come ostile e ingiustificato dal nostro collega di lavoro che, a sua volta, si metterà sulla difensiva nei nostri confronti. A nostra volta, questo suo atteggiamento rigido (innescato come risposta al nostro modo di rapportarci a lui) ci farà percepire il collega come schivo e scontroso, rafforzando di conseguenza il nostro pregiudizio.

Come possiamo vedere dall’esempio, un pregiudizio è riuscito a modificare il nostro comportamento nei confronti dell’altro, con un effetto a catena che ha finito per creare quelle condizioni tali per cui le ipotesi formulate sulla base del pregiudizio si sono verificate per davvero.

Il pregiudizio è proprio questo: un'opinione concepita non per diretta conoscenza del fatto o della persona ma sulla base del senso comune. Ogni società ha dei pregiudizi più o meno condivisi da tutti i suoi componenti nei confronti dei componenti di un gruppo sociale diverso dal proprio.

Si può superare il pregiudizio? Ad oggi, esistono alcune soluzioni a tale problema, con risultati estremamente promettenti. Un esempio potrebbe essere quello di favorire incontri esperenziali positivi tra gruppi diversi, valorizzando quelle differenze che apparentemente dividono, rendendole un fattore di crescita moltiplicatore, individuale e sociale.

Proprio soluzioni come queste evidenziano quanto sia possibile combattere il pregiudizio senza necessariamente doversi opporre al processo di categorizzazione. In effetti, la categorizzazione in sé non rappresenta il problema: ritenere che “loro siano diversi da noi” non è dannoso. Il problema insorge quando si assume l’idea che, se loro sono diversi, sono anche peggiori di noi, associando al concetto di diversità il significato di “male, negativo, minaccioso”. E ciò che è diverso è ignoto. E ciò che è ignoto fa paura e va esorcizzato, svalutato, allontanato. È questa errata attribuzione valoriale che va combattuta. Incrementare la propria capacità riflessiva, sviluppando una maggior consapevolezza degli errori (bias cognitivi) che stiamo mettendo in atto in quei momenti, rappresenta senz’altro una strategia fondamentale per gestire queste errate valutazioni. Di certo, serve innanzitutto la forza di volontà di ognuno di noi.

D’altronde il pregiudizio è una barriera che limita le nostre vite, impedendoci di fare esperienze, conoscere nuove persone, scoprire nuovi posti, arricchirci. Servono altri motivi per capire che ne possiamo fare a meno?

Dott. Danilo Selvaggio, Psicologo

Articolo apparso sul mensile "Fuoriporta" maggio 2021

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