Le emozioni possono favorire (e prevenire) un cancro?

Il cancro è una malattia che colpisce tutte le dimensioni della vita della persona (fisica, psicologica, sociale) con pesanti ripercussioni sull’intera famiglia del paziente. Numerosi sono stati gli studi scientifici che si sono occupati delle conseguenze psicologiche di un cancro: sappiamo, ad esempio, che circa il 35% dei pazienti oncologici esperisce sintomi di ansia, stress, depressione e disturbi di adattamento.

Ma cosa sappiamo dei cosiddetti “fattori di vulnerabilità psicologici”? O meglio, potrebbero la nostra personalità e le nostre emozioni influenzare e, dunque, predisporre l’eventuale insorgere o meno di una patologia neoplastica?

Questa è una domanda che si sono posti, negli anni ’90, dei ricercatori europei, quali Morris e Greer. Ebbene, attraverso studi mirati sono riusciti ad identificare una particolare personalità definita "Tipo C" (cancer-prone personality), personalità che avrebbe effettivamente maggiori probabilità di andare incontro al cancro.

La personalità di tipo C è caratterizzata da accondiscendenza, conformismo, ricerca costante di approvazione, sottomissione, tendenza a reprimere emozioni come la rabbia. Proprio la tendenza a reprimere le emozioni può aumentare la suscettibilità alla malattia poiché il tutto si tradurrebbe in una costante iperattivazione del sistema neurovegetativo portando, a lungo termine, a una compromissione dell’efficienza della risposta immunitaria. Questa situazione di forte stress per il nostro sistema immunitario si associa a una forte diminuzione dell’attività dei linfociti Natural Killer (NK), cellule situate nel sangue periferico con il compito di individuare e distruggere le cellule cancerogene. In estrema sintesi, l’emozione repressa si scarica sul corpo della persona, e ciò va a determinare una marcata riduzione della risposta immunitaria. Di conseguenza, questa situazione favorirà una maggiore vulnerabilità alle malattie e dunque una maggior probabilità di andare incontro ad una patologia neoplastica.

A conferma di quanto detto, molte ricerche scientifiche evidenziano, ad esempio, una ridotta attività dei linfociti NK in soggetti in stato di lutto prolungato/non elaborato per la morte di una persona cara.

Sulla base di ciò, appare evidente come la promozione di stati d’animo positivi possa fungere da un lato come fattore protettivo verso patologie come il cancro e, dall’altro lato, aiutare anche i pazienti che già lo hanno contratto, a partire da una migliore adesione al trattamento.

Dott. Danilo Selvaggio, Psicologo

 

Pubblicato per il mensile Fuoriporta, ottobre 2020

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